GENESI DELL’OPERA

L’albero del latte di Silvia Bigi esplora il tema dell’identità di genere mescolando realtà e finzione, suggestioni poetiche e provocazioni critiche. Fotografie, documenti d’invenzione e objets trouvés raccolti tra i Balcani e la Romagna, compongono un percorso che affronta argomenti universali e quotidiani, storici e di attualità, per riflettere sul ruolo della donna nella società contemporanea e sulle possibilità di cambiamento sociale.

L’ARTISTA 

Il titolo è tratto dal Kanun di Lek Dukagjini, un antico codice di precetti e consuetudini tramandate oralmente nei Balcani sin da epoca medievale, e forse ancor prima, e in seguito raccolte in forma scritta. Nel canone – che veniva tramandato dai membri anziani delle comunità e regolamentava l’intera vita sociale, giuridica ed economica dei territori di sua applicazione – veniva definita “Albero del latte” la stirpe femminile, mentre “Albero del sangue” indicava l’unica vera discendenza: quella maschile, dominante.

Il lavoro di Silvia Bigi si sviluppa a partire da un ritrovamento casuale: l’immagine di una donna, Vukosava Cerovic ritratta insieme ad un uomo. In realtà, la persona dalle sembianze maschili è sua sorella Stana, ultima vergine giurata dei Balcani. La scoperta dell’esistenza delle tobelije – donne disposte a diventare uomini e mantenersi vergini pur di sfuggire a matrimoni combinati e assicurarsi una vita indipendente in una società fortemente patriarcale – è il punto di avvio di una riflessione che tocca temi tradizionali come il matrimonio, la dote, la sessualità, la perpetuazione delle norme sociali dominanti.

Con un approccio che parte dal fotografico per espanderne i confini, fino a comprendere installazioni, lavori tessili e opere audio, L’albero del latte, qui presentato per la prima volta, cerca risposte a una domanda che ha incessantemente ossessionato Bigi dal momento del ritrovamento: sebbene viviamo in un contesto diverso, non siamo forse tutte come Vukosava e Stana?

“Potrebbero sembrare storie appartenenti a un altro tempo, a un altro luogo, – osserva l’artista – eppure tutt’oggi la donna è sottoposta a drammatiche scelte, in ogni luogo del Pianeta. È un fatto che, in Occidente, la sua età fertile coincida con gli anni della sua realizzazione sociale e professionale. È un fatto che sia ancora e sempre chiamata a scegliere, a sfidarsi in ogni limite. A tentare di far tacere, per necessità, l’una e l’altra parte di sé.”

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