Da sabato 14 marzo a Sabato 13 giugno 2009
Opere dalla Collezione Dino Zoli.
A cura di Maurizio Vanni e Flora Rovigo.

“Molte forme d’arte della nostra contemporaneità prendono le mosse dal doppio movimento della profondità e della superficie: la prima trova riscontro nell’istinto, nel totale coinvolgimento incontrollato delle pulsioni più profonde; la seconda è legata all’esito finale del lavoro, al premeditato luogo di destinazione dei pensieri e degli stati d’animo che vengono disciplinati in un insieme formale.

L’artista contemporaneo, solitamente, persegue una via intermedia che permette all’istinto di non essere appiattito dalla ragione, ma al tempo stesso si concentra sull’esaltazione del pensiero attraverso l’utilizzo di simboli, di codici non convenzionali, di metafore e di tutte quelle sottigliezze filologiche in grado di comunicare un pensiero in modo non prevedibile.

L’ironia potrebbe corrispondere proprio a una sorta di linguaggio alternativo, o complementare a quello convenzionale capace di definire un limite a sé e alle cose. L’ironia, agendo sul rovesciamento dei codici dati, è il mezzo più sottile ed elastico per contestare, per prendere le distanze, per approfondire aspetti inediti e per insinuare nuovi sospetti sulla realtà.

Dalle Avanguardie storiche ai giorni nostri, l’utilizzo dell’arte dell’ironia è stato piuttosto ricco, appannaggio di quei momenti storici e di quegli artisti che hanno avuto bisogno di usare uno strumento critico e di analisi non necessariamente legato al consueto mezzo espressivo. L’ironia espressionista è grottesca, deforma, esaspera e all’uomo sostituisce una maschera o la sua maschera. L’ironia futurista si sviluppa attraverso “veloci” scherzi istigatori legati alle provocazioni moderniste mentre quella dadaista è una provocazione sull’arte stessa. Ma potrebbero essere considerati linguaggi riferiti all’ironia anche quelli del Surrealismo, dell’Astrattismo geometrico, dell’arte Pop e di ogni forma di arte concettuale.

Per artisti come Lucio Del Pezzo, Mattia Moreni e Ugo Nespolo, l’ironia corrisponde al rovesciamento di un codice di comunicazione prestabilito, alla volontà di manifestare la realtà attraverso ottiche differenti, ma soprattutto trova riscontro nel desiderio di sperimentare la vanità delle passioni e dei sentimenti. Nelle loro opere, spesso, il più o meno sottile utilizzo dell’ironia non è percepito come un dono, ma come una vera e propria conquista, come un’arma di attacco e di difesa che destabilizza i luoghi comuni.

L’archetipo, tradizionalmente, trasmette significati forti ed è ben radicato nell’immaginario collettivo con una icona difficilmente scalfibile. Per scardinare questa sudditanza, Lucio Del Pezzo ricorre a una specie di stordimento delle immagini attraverso combinazioni ardite di oggetti decontestualizzati o re-inventati. L’artista ri-scrive, modifica, altera, sovrappone oggetti che rimangono collegati alla realtà solamente attraverso il ricordo di ciò che erano in origine o attraverso un gioco di somiglianze e di evocazioni. Ne scaturisce una pittura oggettuale che, avvalendosi dell’utilizzo di reali elementi tridimensionali, ribalta i ruoli tradizionali dei volumi, degli spazi, dei fondi e delle prospettive. Quella di Del Pezzo potrebbe essere considerata un’ironia originale e profonda, mai fine a se stessa, in grado di esaltare quella metamorfosi universale che trasforma la consistenza di tutte le cose del mondo.

Il senso dell’umorismo è un qualcosa di innato in un pittore: è possibile affinare la tecnica della propria espressione artistica, educare il gusto estetico, aumentare il livello della preparazione culturale, ma di certo non possiamo migliorare l’acutezza percettiva, la sagacia di spirito, la fantasia e l’estro che determinano un qualcosa di veramente unico e speciale. Ugo Nespolo nasce con quella curiosità che lo porta a creare sulla creazione, a indagare l’anima delle cose, a raccontarci una storia, più o meno verosimile, sull’uomo, sui suoi sentimenti e sulle sue debolezze. Nelle sue opere, i particolari legati alla realtà vengono assorbiti dal complesso della composizione attraverso un linguaggio raffinato, sintetico e, talvolta, volutamente enigmatico. Lavori che si predispongono all’interazione con un osservatore che è invitato a partecipare, mentalmente, alla definizione dell’opera. Ironia sull’ironia: attraverso l’interpretazione soggettiva del pubblico, ogni oggetto rappresentato viene restituito alla sua primitiva vocazione, sempre ben lontana dall’utilizzo improprio legato a una società sempre più veloce e vorace.

Gli “artisti” del Paleolitico, ovvero quelle persone che in modo ardito e cosciente graffiavano le pareti e coloravano i volumi delle grotte, proponevano rappresentazioni direttamente rapportate ai loro desideri e ai loro bisogni: individui che raccontavano timori, che rappresentavano bisogni ed esigenze di un’intera comunità per mezzo di un’attitudine proiettivo-fantastica dell’immaginazione. In alcune composizioni, i segni di Mattia Moreni ci riportano all’essenzialità dell’arte rupestre, alla sintesi estrema del primordiale, alla regressione verso l’origine di tutte le cose. Le sue forme gridano, le sue angurie ci riconducono al disfacimento e alla decadenza di quell’uomo contemporaneo che ha perso di vista i valori veri della vita e la sensibilità nei confronti della natura. Quello di Moreni è un approccio all’ironia che si trasforma in grottesco, in satira linguistica, in estetica del sociale: alternativa del proprio modo di essere nel mondo e con il mondo. Immagini essenziali, schernitrici, condotte su grandi dimensioni con una tecnica pittoriche che prevede, tra le altre cose, l’utilizzo del colore direttamente dal tubetto alla tela.

Ironia come alternativa, come denuncia, come grido di allarme, ma anche come codice alternativo, come strumento critico di coscienza e autocoscienza, come immagine replicata di una realtà contemplata, violata, ri-definita e restituita alla sua originale purezza. Ironia intesa come segno della vita o, forse, come sogno di una nuova vita.”

Maurizio Vanni

Top