GENESI DELL’OPERA
Ambrosia vs. tabacco. Marmo niveo vs. pece densa. Hebe vs. Hebe [2017].
Ha percorso due secoli in punta di piedi; si è ora seduta, si è spogliata, ha chiuso gli occhi e così facendo, ancor prima di offrirsi allo sguardo, si è guardata.
L’ARTISTA
Mustafa Sabbagh conduce una riflessione sul significato di Libertà incarnato dall’Ebe di Antonio Canova [1817] – capolavoro della classicità statuaria conservato ai Musei San Domenico – riconducendolo alla contemporaneità attraverso il suo noto gesto.
Laddove Canova agì in levare, intervenendo su un blocco di marmo per liberare la dea intrappolata nella roccia, Sabbagh fende la luce per liberare la donna intrappolata nel canone.
Altera, ieratica, compatta. Imbevuta di nero, levigata di ombra, l’Ebe di Sabbagh abbandona la plasticità della posa per raccogliersi in se stessa. Il panneggio del tessuto – non più decoro, ma conforto – è un continuum con
le increspature della pelle, geografia di un vissuto consumato nella sua sacra carnalità, magnificato nell’atto dell’artista.
Il nostro sguardo, di spettatori e voyeur, non ha più necessità di rivolgersi verso l’alto perché l’Ebe di Sabbagh – metafora eterna di Libertà – è finalmente a misura d’uomo. Nobile come una dea, divina come una donna, granitica nel suo consapevole abbandono del bianco accecante a favore del nero profondo, della perfezione preconfezionata a favore dell’unicità.
È questa la Libertà, per l’artista e per l’uomo: sedersi, spogliarsi, chiudere gli occhi e, finalmente, guardarsi.