Gradazioni di luce

Geografie di sguardi tra storia e contemporaneità

a cura di Gigliola Foschi e Nadia Stefanel

Sei autori italiani, sia emergenti sia riconosciuti a livello internazionale (Alessandra Baldoni, Luca Gilli, Cosmo Laera, Luca Marianaccio, Lucrezia Roda e Pio Tarantini), sono stati invitati a raccontare – con linguaggi diversi, aperti a nuove strategie dello sguardo – dodici siti storici e contemporanei, dove DZ Engineering è intervenuta utilizzando sistemi integrati e innovativi di illuminazione o di telecomunicazione. Si tratta di luoghi che si offrono come lo spaccato di un Paese – l’Italia – capace di guardare al futuro senza dimenticare le sue molteplici e stratificate radici storiche.

La mostra diventa così una sorta di viaggio visivo nella storia e nell’arte: inizia dal Parco Archeologico di Canne della Battaglia, là dove, nel 216 a.C.,  i Romani subirono una devastante sconfitta a opera dei Cartaginesi guidati da Annibale; raggiunge il porto e il mausoleo di Galla Placidia di Ravenna, gioiello del V secolo interamente ricoperto di preziosi mosaici; ci accompagna a Castel del Monte (Patrimonio Unesco, come il mausoleo di Galla Placidia), la famosa fortezza del XIII secolo fatta costruire dall’imperatore Federico II, dove complessi simboli astrologici si coniugano con raffinati rimandi matematici, geometrici, astronomici; e poi prosegue verso cattedrali gotiche, chiese, sinagoghe e abbazie, per arrivare infine al Polo Chimico di Ferrara e al Mapei Stadium di Reggio Emilia.

Dodici luoghi interpretati e narrati inseguendo una luce che svela e rivela, osservati nel tempo dilatato del crepuscolo, momento del cambiamento e dell’intimità sospeso tra giorno e notte, tra una luce naturale in declino e una luce artificiale che avanza e crea nuove relazioni ed esperienze visive. Dodici luoghi che, grazie alle ricerche compiute dai sei autori invitati, si offrono inoltre come una sorta di spaccato sulla fotografia italiana contemporanea.

Una fotografia capace di esplorare nuovi linguaggi, ma sempre nutrita da una tradizione visiva che ha profonde radici nella storia della pittura italiana e nel tema della bellezza. Nonostante le diversità espressive e le volute differenze generazionali (Pio Tarantini è nato nel 1950 e Lucrezia Roda, la più giovane, nel 1992) emerge nei loro lavori uno “stile italiano” basato sulla delicatezza e sull’equilibrio compositivo, dove ogni fotografia è sempre frutto di una relazione profonda e intima con i luoghi, con la storia e il fluire del tempo.

Lo sguardo di questi autori non è mai “freddo”, puramente analitico o documentario, ma neppure volutamente seduttivo o accattivante. È empatico, affettuoso eppure preciso, proteso a scandagliare la memoria e riscattarla dall’oblio, a ritrovare un sentimento di appartenenza che ha le sue radici nel contemplare e non nel vedere fugace, nel silenzio e nell’attesa e non nel rumore assordante della contemporaneità. Anziché mostrarci i luoghi con la forza chiassosa dell’evidenza i nostri autori creano narrazioni sospese, a volte sussurrate e a volte più intense, ma sempre vibranti ed essenziali.

Così Cosmo Laera (Bastione di Santa Scolastica, Abbazia di San Leonardo e Canne della Battaglia), con un linguaggio nitido e asciutto, trasforma la sua ricerca in un’esplorazione dove ogni immagine è il tassello di un viaggio di avvicinamento e conoscenza, compiuto con lentezza, passo dopo passo, fino a creare opere che ci invitano a guardare meglio e con maggior attenzione anche quanto risulta in apparenza trascurabile.  Un viaggio fatto di incontri con persone, con la materia di pietre segnate da una storia secolare, e poi di sguardi frontali, laterali, ravvicinati.  Il suo è anche un viaggio nel tempo, dal giorno alla notte. Dalle luci abbacinanti delle giornate estive del Mediterraneo, che paiono schiarire e avvolgere ogni cosa fin quasi ad assorbirla, a una notte dove la luce artificiale ridà un’altra vita, un’altra visibilità ai monumenti, a volte rendendoli quasi cristallini, a volte avvolgendoli di mistero.

Pio Tarantini (Cripta della Cattedrale di Otranto e Chiesa di Uggiano) anima le sue immagini  creando una tensione tra la precisione dei luoghi da lui fotografati e l’emergere e lo svanire delle persone che li vivono. Il tempo, nelle sue immagini, appare dilatato, quasi volesse protendersi tra il passato e l’oggi, sfuggendo alla logica di una fotografia esclusivamente testimone di una temporalità precisa.

Alessandra Baldoni (Mausoleo di Galla Placidia e Sinagoga di Pisa), a partire da dettagli di luoghi carichi di spiritualità, crea dittici e trittici che, grazie ad accostamenti inaspettati e poetici, danno vita a piccole storie simili a rime visive sospese tra mistero e incanto. Le sue sequenze sono come piccole mappe ramificate capaci di far riudire la voce del sacro, sono carte per osservare la bellezza che fa rimare il mondo.

Di segno quasi opposto sono le fotografie di Luca Marianaccio (Castel del Monte e Autodromo di Vallelunga), che contrappone al ritmo rarefatto e cadenzato di Gilli una narrazione intensa e concentrata, composta da frammenti visivi essenziali e serrati che si relazionano e si connettono gli uni agli altri in modo puntuale e al contempo inatteso. L’opera finale non è più per lui l’immagine singola, ma un insieme di tasselli dinamicamente in dialogo tra loro che s’impongono alla vista con forza enigmatica. Un dialogo che Marianaccio costruisce anche tra le sue due ricerche. Seppur basate su siti in apparenza antitetici – uno storico e l’altro agonistico – entrambi sono infatti dei punti “di concentrazione” all’interno di una natura e di un ambiente che li accoglie.

Simili a partiture attraversate da un sottile ritmo cromatico e immerse in una luce sommessa e luminescente, le immagini di Luca Gilli trasfigurano lo spazio dello Mapei Stadium (Reggio Emilia) senza tradirlo. Egli lo osserva e ce lo mostra quando le folle dei tifosi sono scomparse e “lui” – quasi fosse una persona – si può rivelare allo sguardo nei suoi aspetti più segreti e nascosti. Segreti che l’autore non rivela, ma che suggerisce sottovoce, con discrezione, agendo per sottrazione, con lievità, sino a dare al vuoto il primato all’interno dell’immagine, sino a offrire inconsuete possibilità di visione con un tocco fiabesco.

Ancora diversa è la ricerca di Lucrezia Roda (Polo Chimico di Ferrara e Porto di Ravenna), che punta sull’intensità di immagini singole in cui ogni fotografia trasforma il paesaggio industriale in un universo quasi surreale e misterioso, e gli edifici in presenze vitali, cariche di energia o di un’aura a volte inquietante. Un mistero sottolineato dalle luci della notte e del crepuscolo, che permettono ai suoi “personaggi” di emergere luminosi nell’oscurità, di stagliarsi contro il blu del cielo per stupirci con le loro forme e la loro forza. 

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