Memoria viva e interiorità personale sostengono il delicato equilibrio dell’arte. Lulù Nuti [Roma, 1988] dimostra un’eccelsa capacità di plasmare masse scultoree e installazioni, in un continuo dialogo con lo spazio circostante. Un’abilità alimentata dal sottile confine che si dissolve tra linguaggio artistico e intelligenza dei materiali, unendo la concretezza delle forme alla profondità dei significati.

La fede incrollabile nella materia si traduce in opere che non sono semplicemente oggetti fisici, ma veicoli di esperienze, pensieri ed emozioni. Nel suo lavoro Nuti esplora l’impotenza dell’essere umano di fronte alla realtà esterna. La consapevolezza di vulnerabilità innescata dalla nostra stessa esistenza genera reazioni complesse nella società ma, al contempo, stimola autentiche riflessioni sulla percezione della realtà e sul nostro rapporto con la natura, permettendo agli spettatori di confrontarsi con le emozioni più intime e con il mondo fuori.

Lulù Nuti invita ad avventurarsi nei meandri della memoria. Ne è testimonianza l’opera Autoproduction che, figlia di una ricerca precedente Calcare il mondo, evidenziando il riciclo di materiali ormai inermi all’interno delluniverso artistico, fa emergere un messaggio incisivo: nulla va sprecato, tutto si trasforma.

Lutilizzo del cemento è motivato dalla sua stessa essenza, il legame unico tra artificiale e naturale. La sabbia modella il pianeta, creando un riflesso tangibile della Terra, ma ciò che rende questo processo straordinario è l’idea che il materiale usato per costruire il mondo moderno sarà quello che rimarrà quando, un giorno, imploderà.

Alla radice di quest’opera si cela una forma consapevole, composta da elementi, diversi ma eterogenei, che suggeriscono l’essenza umana senza aderire a dimensioni reali. La struttura ha unapparente spina dorsale, creata da frammenti in grado di pungolare la coscienza con ricordi e memorie. La forma richiama l’immagine di un leggio, espressione di vulnerabilità come l’instabilità umana, con cui comunica un messaggio di fragilità e transitorietà.

Sulla cima della scultura è posizionato uno scrigno, al cui interno si trova un piccolo libro che custodisce fotografie di gioielli di famiglia, unite a ricordi di opere realizzate in precedenza dall’artista. Una metamorfosi indiretta della materia: i gioielli si intrecciano con il lavoro, coesistendo e dando vita a replicazioni di entità passate.

L’opera diventa sinonimo di alchimia, un connubio con diverse memorie e una creatività capace di donare vita a un’entità unica e suggestiva.

Nuti è abile a plasmare materiali definiti immemorabili, elementi della terra, accogliendo un

equilibrio fragile ma potente. Si spoglia dell’inutile per assaltare l’interiorità e crea opere dove i pezzi di cemento danno un voluto significato.

L’artista genera arte, ma offre altresì una prospettiva unica sulla complessità del mondo e sulle sfide che come individui e come società dobbiamo affrontare, tra cui l’importanza del riutilizzo.

 

di Francesca Angilletti

 

In mostra:

Autoproduction, 2021
gesso, cemento, adesivo per piastrelle, schiuma poliuretanica, metallo, carta
20.5x21x100 cm

Top