Piero Manzoni [Soncino (CR) 1933 – Milano, 1963], artista poliedrico e pioniere del suo tempo, si è concentrato, lungo tutta la sua carriera, sulla sperimentazione di materiali e tecniche innovative, uscendo costantemente dagli schemi e approcciandosi ad un’arte che sovrasta i limiti della tradizionalità.

Gli Achrome – realizzati tra il 1961 e il 1962 – presenti in mostra, fanno parte di una più ampia serie di opere che sono accomunate dal termine “senza colore”, in quanto l’artista sceglie di proposito l’utilizzo di materie bianche, ad esempio il caolino o l’ovatta, per esprimere al meglio un concetto di neutralità visiva.

La scelta del colore bianco è significativa perché indica come Manzoni non volesse influenzare lo spettatore trasmettendogli delle sensazioni forzatamente veicolate dall’opera ma, al contrario, rende la tela un mezzo per far vagare l’immaginazione concedendo sempre la possibilità di una libera interpretazione.

La tela, associata a materiali moderni, come polistirene, fibre artificiali e pitture fosforescenti, conferma la poetica manzoniana che si nutre dell’innovazione artistica e del concetto di Assoluto. Utilizza, infatti, la tela immaginandola come una superficie priva di limiti e disposta a lasciare spazio ad una libera espressione, dell’artista e del fruitore, in grado di rappresentare l’infinito.

É evidente come Manzoni lavori con concetti astratti, mirati ad enfatizzare l’importanza dell’idea e del ragionamento che conduce alla produzione dell’opera, più che alla realizzazione materiale della stessa, in modo da concederle una vita indipendente e sorprendente.

A disorientare è anche l’utilizzo di materiali così variegati e rivoluzionari che vanno a stimolare la sensorialità tattile di chi osserva, in tal modo si è incitati alla conoscenza e all’esplorazione di caratteristiche fisiche estranee all’immaginario artistico comune.

Questa particolare sensorialità sollecitata dagli Achrome favorisce una percezione quasi sinestetica delle forme e delle immagini che portano l’esperienza abituale a ritrovare un nuovo indirizzo del proprio percepire, anche in relazione a materiali ritenuti ovvi e abituali, ma che ora assumono connotazioni e percezioni differenti.

La struttura delle opere va, quindi, a rigenerare la sensorialità dell’essere umano che riceve degli stimoli provenienti dal desiderio di percepire lo stato materico di cui esse sono composte e, letteralmente, di stimolare la voglia di toccarle e provarle con mano.

Piero Manzoni, con la serie degli Achrome, ci comunica anche un certo (forte) senso di equilibrio e neutralità che è in continuo dialogo – e forse, in parte, in contrasto – con la sua mente così innovativa e sperimentale.

 

di Sophie Labigalini

 

In mostra:

Achrome, 1960-61
polistirolo espanso, vernice fosforescente
60×46 cm (con cornice 63x49x5.2 cm)
© Fondazione Piero Manzoni, Milano

Achrome, 1961-62
fibra di vetro
61.5×46 cm (con cornice 106×91.5×32 cm)
© Fondazione Piero Manzoni, Milano Foto

Achrome, 1962
pallini di ovatta
20×27 cm (con cornice 36x42x4 cm)
© Fondazione Piero Manzoni, Milano

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