Cavi elettrici, reti elettrosaldate, tondini di ferro e catene arrugginite raccontano di una concretezza ruvida, quasi brutale, di un realismo che trascende ogni possibilità di imitazione e di rappresentazione. Valentina Palazzari [Terni, 1975] ragiona sui materiali industriali, sulla non-valenza estetica e sull’anti-artisticità di questi. I materiali sono, di fatto, presentati così come sono, non c’è tentativo di mascheramento o abbellimento, la loro natura industriale non consente elucubrazioni su significati che vanno oltre la pragmatica funzionalità.

Da queste premesse nasce Autoritratto, una spirale discontinua di cavi elettrici neri, interrotta ora da increspature e sollevamenti, ora da catene in ferro che ne spezzano la monotonia e la monocromia. Il suo è un lavoro lento e rigoroso, ma anche – e soprattutto –

fisicamente faticoso. Con lo sforzo fisico dell’artista entra in gioco una nuova idea, una nuova relazione, che riporta l’uomo alla sua forma e alla sua necessità più basilare: l’energia. L’opera è – letteralmente – il conduttore di un potenziale energetico, in questo caso elettrico, che, una volta neutralizzato, si riconfigura come una vibrazione primordiale nello spazio in cui, di volta in volta, si trova.

Spazio che viene descritto, letto e riscritto dall’opera, dai segni primari che la compongono e che definiscono una dimensione altra, fatta di pulsazioni e palpitazioni che, come quella spirale, tendono all’Infinito, nel regolare susseguirsi dei gesti di Palazzari che, con pazienza e dedizione, disegna un pesante mandala. Un mandala industriale che permette di resettare, defunzionalizzare e rifunzionalizzare gli elementi utilizzati, un tentativo di conciliare – o ri-conciliare – i due opposti di una relazione complessa come solo quella tra la natura e l’uomo che la vive può essere, attraverso la riqualificazione di materiali di recupero che con la natura hanno apparentemente poco da spartire, e che, tuttavia, imitano e ricordano, nelle forme e in certe armoniche irregolarità, gli atteggiamenti della natura più libera e incontaminata.

E allora la spirale di cavi elettrici assume una rilevanza ancestrale: diventa simbolo del ciclo vitale, un vortice di energie, memorie e desideri che ritornano e si ripetono dall’inizio dei tempi. Come i tornado e le galassie, gli anelli di accrescimento degli alberi e le onde concentriche di uno specchio d’acqua, i gusci delle chiocciole e la coda dei camaleonti.

 

di Eleonora Bianchi

 

In mostra:

Autoritratto, 2023
cavi elettrici e catene di ferro
dimensioni variabili

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