La mostra presenta una ventina di opere di grandi dimensioni dedicate alle vite di Maria Egiziaca, Teresa dAvila e Rosa da Lima. Per il primo lavoro dellartista incentrato sul corpo umano è stato ideato un percorso immersivo, allinterno del quale prenderanno vita storie del presente e del passato. Il visitatore si troverà faccia a faccia con grandi tele verticali e garze sospese, tutte fruibili da diversi lati. Se il fronte è caratterizzato da linee di filo cucito che tracimano dalla figura, il retro – anchesso interessante – nasconde un groviglio inestricabile di segni e colori. Un allestimento non tradizionale che si concluderà con i lavori dedicati a Teresa dAvila, in un gioco di luci e di ombre.

La leggenda di Maria Egiziaca (Alessandria dEgitto, 344-421 circa) vuole che la mistica avesse peregrinato per oltre trentanni nel deserto, avvolta solo dai suoi lunghi capelli. Fuggì dalla propria casa alletà di dodici anni abbandonandosi ad una vita dissoluta, poi divenne monaca ed eremita, venerata come Santa dalla Chiesa cattolica, ortodossa e copta. Teresa dAvila (Ávila, 1515 – Alba de Tormes, 1582) entrò in convento a ventanni, dopo essere fuggita di casa e dopo un travagliato percorso interiore che la condusse a quella che definì in seguito la sua conversione. Divenne una delle figure più importanti della Riforma cattolica grazie alla sua attività di scrittrice e fondatrice delle monache e dei frati Carmelitani Scalzi; fu anche nominata, come prima donna, Dottore della Chiesa. Rosa da Lima (Lima, 1586-1617), religiosa del terzordine domenicano, rigettò le abitudini della ricca famiglia di origine, condividendo per tutta la vita la sofferenza dei fratelli indios, emarginati e vilipesi soltanto a motivo della loro diversità di razza e di condizione sociale. 

1) Maria Egiziaca e Alos (Stefania Pedretti), cantante

Testo di Lucia Bubilda Nanni

Alos è solA, lo specchio di sola.

L’ho incontrata per caso, attraversando la strada: mi sono bloccata sui suoi lunghi capelli, lei sarebbe stata la mia Egiziaca.

Di Maria Egiziaca si sa poco, è un archetipo della solitudine, della vita ritirata, di una vita eremitica che si fa favola, mito. Nata nel IV sec. ad Alessandria d’Egitto, fuggì dalla propria casa all’età di 12 anni abbandonandosi ad una vita dissoluta e guadagnandosi da vivere elemosinando e facendo la prostituta. A 29 anni incontrò dei pellegrini iniziando un lungo cammino di preghiera e penitenza che la portò ad errare per il deserto per più di 47 anni. Lo storico bizantino Zosimo così la descrive: donna molto magra, nuda e con lunghi capelli bianchi come la lana che le facevano da vestito.

La tradizione racconta che la sua tomba sia stata scavata dagli artigli di un leone.

Ho scelto Alos per i suoi lunghi capelli che le fanno da veste proprio come a Maria, ma come sempre o spesso accade, ci sono forme del nostro corpo che raccontano al contempo di esperienze. Così è stato anche per Alos e già lo dice quel nome che lei stessa si diede per sottolineare la cesura con le sue radici: molto giovane se ne andò dal piccolo paese della Brianza dove era nata, fece la scelta radicale di diventare vegana (sono passati più di 20 anni e quella scelta ancora è totalizzante per tutti gli aspetti della sua vita), di appartenere alla comunità LGBT e di portare lunghi dread fino a i piedi.

Nelle mie tele il corpo di Alos si muove come nelle sue danze rituali (canta e suona esibendosi sul palco come la sacerdotessa di un culto antico), la figura trascende e se prima la identificavo solo con Maria Egiziaca alle fine del suo danzare, diventa quasi il leone che la seppellì.

2) Rosa da Lima e Francesca Viola Mazzoni, attrice e scrittrice

Testo di Lucia Bubilda Nanni

Nei poderosi volumi I mistici dell’ Occidente, Elemire Zolla riporta della piccola Rosa: un giorno il padre, scostandola bruscamente, s’avvide, dal sangue che le irrorava la faccia, che ella portava fra i ciuffi una corona martoriante, e quando il confessore gliene limò le punte ella strinse con maggior nerbo i nastri.

In santa Rosa tocca l’apice l’uso mistico del dolore, tutta la sua vita fu assetata di tormento. Morì con asma, dolori alla gola e al costato, febbre e artriti nel 1617.

Rosa fu una bimba intransigente, (diremmo capricciosa ora?), se riteneva che una cosa non la dovesse fare trovava il modo per non farla: se la madre la invitava a vestirsi bene, con damascati, rasi e fiocchi, lei si bruciava le mani con i tizzoni del camino di casa,  se la costringeva ad uscire in carrozza, usciva in giardino e si gettava massi sui piedi.

Questo suo modo del diniego mi colpì tantissimo, non urlava, non si dimenava, non offendeva la madre, non lottava con lei, usava il suo corpo: la violenza non era mai verso l’altro ma sempre verso se stessa.

Aperta all’ascolto della natura e degli ultimi (gli Indios di Lima), Rosa si fece costruire un romitorio nel giardino di casa (le fu impedito così giovane di entrare in convento), un giaciglio frugale che si dice fosse pieno di sciami di insetti che lei governava e interpellava come fossero gli uccelli di Romolo, e così come fosse una piccola mosca uscita dai ranghi, fermò un toro imbizzarrito.

Ho scelto Francesca, perché nel suo corpo silenzioso vidi lo stesso urlo di Rosa.

Una sera, fu lei a venire nel mio studio per conoscermi. Ribaltai le domande e poco dopo le chiesi di ritornare con un masso e il suo cane Ernesto. Francesca ha sofferto gravemente di depressione fin dall’adolescenza, ha trovato nella scrittura e nel teatro una risorsa per guarire dal senso di finitudine che sentiva fin da bimba. Teatro e scrittura sono la sua ribellione verso il limite, il suo diniego: “per ridurre lo scarto tra il piccolo e l’immenso, tra l’umano e il divino, tra realtà e sogno, è per questo che ho iniziato a fare teatro”.

3) Teresa d’Avila e Giovanni della Croce, Rebecca ed Elia

Testo di Lucia Bubilda Nanni

Mentre studiavo i testi di Teresa d’Avila, seguivo il cammino (Londra – Gerusalemme) di Elia Tazzari e Rebecca Bernasconi attraverso i social e ancora non sapevo che li avrei scelti come modelli per interpretare il rapporto tra Teresa e il suo confessore, Giovanni della Croce.

Fu un attimo unire l’idea che mi ero fatta del loro cammino faticoso e determinato con quello di Teresa. Anche Teresa camminava instancabilmente, con la neve, con la tempesta, nulla la fermava: imbiancava, stuccava, firmava contratti d’affitto, organizzava la cucina, le stanze, l’educazione delle novizie, il tempo della preghiera, l’ordine terreno e spirituale, e via di nuovo a passo veloce verso la ricerca di un altro luogo dove fondare il suo convento, così a passo determinato e “scalzo” per tutta la Spagna del XVI sec.

Per Elia camminare è un’esperienza vitale, le endorfine lo fanno uscire dalla sua depressione cronica, senza l’idea di affrontare una grande sfida non riesce a stare: “Herzog la chiama la conquista dell’inutile, io cerco questo, camminare è sempre a perdere, è sempre una sconfitta, è una progressiva perdita di forze, a cui mi affido. Trovo risorse inaspettate come se toccassi la fede, tutto scivola via senza potere, senza controllo, ti senti addosso un moto inerziale, un principio biologico e divino al tempo stesso. Per me camminare è un’ossessione, un desiderio che dà un senso a tutto, non c’è nulla di più bello e doloroso. Rebecca invece è più pratica, lei sente più la parte agonistica del cammino, la sfida, la conquista”.

 

La piccola Teresa scappò di casa con il fratello, fremeva di conquista verso la Terra Santa, uno zio li prese per l’orecchio e li riportò a casa.  Il limite e la conquista del suo superamento è anche questa un’esperienza mistica. Così scrive Teresa in due righe: Signore mio, perché mi ordinate cose impossibili? Se almeno, pur essendo una donna, fossi libera di me stessa!

Ecco è nel rapporto tra i corpi di Elia e Rebecca che ho cercato questa libertà, nella quiete e nel gioco, il riposo silenzioso dopo la grande prova di resistenza, dopo l’angoscia e il senso di colpa, perché così immaginavo il dialogo tra Teresa e Giovanni: il suo riposo dopo le fatiche del corpo, la sensualità del riposo dopo l’incalzante e tempestoso dialogo privato con Dio e le prove che sempre Teresa esigeva dal suo corpo.

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